EIMA

bimu

traduzioni e interpretariato per tutte le lingue mondiali, ovunque


English
version
fiere | servizi | Weekly | GMF | PRISMA | notizie | acquista

media kit | contattaci | chi siamo | stampa | link utili | privacy

numero totale utenti registrati: 153247

tipo di accesso: ospite | accedi | registrati

crediti mensili:
crediti giornalieri:

10
2


proponici le tue notizie

email:


Pino Arlacchi
Addio Cosa Nostra
La vita di Tommaso Buscetta
Chiarelettere


Pianeta Libri news. Torino, 14 agosto 2019 – Nato a Palermo il 3 luglio 1928 da genitori palermitani, ultimo di diciassette figli, Tommaso Buscetta trascorre la sua infanzia "in mezzo a persone adulte, distanti, gravi. […] Ho ricevuto un'educazione rigida e mi sono dovuto abituare molto presto a una condizione che sarebbe poi ricorsa spesso nella mia vita: la solitudine. […] Sono stato precoce. A otto anni ho avuto la mia prima esperienza sessuale. A quattordici avevo un'amante. A diciassette mi sono sposato. A diciotto ero padre. A venti avevo due figli ed ero già emigrato la prima volta." […]
"Nella mia vita mio padre è stato una figura fondamentale. L'ho amato molto. Da lui non ho mai ricevuto uno schiaffo né una punizione fisica: mi puniva con lo sguardo. […] Ogni mattina alle 8 era al lavoro, a cinquecento metri da casa, nella sua piccola fabbrica: un laboratorio per la lavorazione degli specchi che impiegava una quindicina di operai. Mio padre era partito da zero, da semplice lavorante che si mette in proprio […] non girava armato né protetto da nessuno. Non c'è traccia nella mia famiglia di origine, di violenza o di preoccupazioni e discorsi collegati a fatti di sangue o di malavita. Né i parenti di mio padre, né quelli di mia madre avevano mai avuto problemi con la giustizia né raporti di alcun tipo, nepppure indiretti, con la mafia."

A raccontarci la vita travagliata di Tommaso Buscetta e le sue rivelazioni sull'organizzazione/setta segreta della mafia, è Pino Arlacchi, col libro Addio Cosa nostra. Arlacchi fa parlare in prima persona don Masino attingendo ai colloqui avuti con lui e alle testimonianze dello stesso davanti all'autorità giudiziaria. Arlacchi spiega anche come abbia impiegato sette anni ad ammettere che Giovanni Falcone era nel giusto quando nel luglio 1984 gli annunciò che gli studi dello stesso Arlacchi "sul fenomeno mafioso, da lui considerati fino ad allora come la fonte di ispirazione principale delle sue indagini erano errati in un punto cruciale: nella categorica esclusione della esistenza della mafia come società segreta."

I primi contatti di Buscetta con la malavita risalgono agli anni della guerra. Nel primo dopoguerra avviene l'ingresso in Cosa nostra. "Cosa Nostra del passato, quella della mia giovinezza e dell'età adulta, fino agli anni Sessanta se si vuole fissare una data, non era l'entità perversa di oggi. Si basava su principi positivi, su concetti di bontà, di onestà e di giustizia che mi hanno affascinato e continuano ad attrarmi. […] Gli anziani, i vecchi mafiosi che mi hanno educato e spiegato le tradizioni di Cosa nostra quando avevo meno di vent'anni, mi hanno detto che essa era nata per difendere i deboli dai soprusi dei potentti e per affermare i valori dell'amicizia, della famiglia, del rispetto per la parola data, della solidarietà e dell'omertà. In una parola il senso dell'onore." […]

"Uno strumento non innocuo e imbelle – precisa però Buscetta –, fatto solo di belle parole, di buone intenzioni e nobili sentimenti, ma una lama tagliente, micidiale, inflessibile che, accanto all'onestà e all'onore, posava su un altro pilastro: quello dell'obbligo assoluto al silenzio e alla segretezza. Il mistero che circondava la propria organizzazione, i propri membri, le proprie strategie, i propri rapporti con la politica e il potere, ha dato una forza enorme a Cosa nostra. Forse più della stessa violenza."

Nel 1947 Buscetta conosce personalmente Salvatore Giuliano, "quando seppi che l'avrei incontrato provai una forte emozione". Sulla sua morte, avvenuta nel luglio 1950, è categorico: "Posso affermare con certezza che non fu Cosa nostra a tradire e uccidere Giuliano. Furono alcuni uomini di Cosa nostra che si prestarono a questo scopo e che furono poi puniti con la morte per tale ragione proprio da Cosa nostra."

Nel 1949, con la moglie e i due figli, raggiunge il fratello Vincenzo in Argentina, emigrato qualche mese prima e che aveva sposato la sorella di sua moglie. Nel 1950, a Buenos Aires, nasce il terzo figlio. Verso la fine dell'anno Vincenzo decide di tornare in Italia con la famiglia. Tommaso vende la fabbrica di specchi che aveva impiantato e che stentava ad andare avanti, e si trasferisce a San Paolo, in Brasile, dove apre una nuova fabbrica di specchi, questa volta con successo.

"Dopo qualche anno trascorso in America Latina – racconta –, senza più contatti con gli uomini d'onore, iniziai a sentirmi più libero e leggero, più spontaneo quando manifestavo i miei sentimenti: mi ero allontanato dalla mentalità arcigna di Cosa nostra. Ogni tanto ripercorrevo qualche episodio della mia vita a Palermo e mi tornavano in mente i discorsi «omertosi» dei miei amici e maestri, il loro culto ossessivo della reticenza e del mistero anche a proposito delle cose più innocenti."

Stanco delle proteste della moglie, che sente nostalgia della Sicilia e soffre per essere derisa a causa del cognome, che nella lingua brasiliana "coincide con un termine volgare che indica l'organo sessuale femminile", nel 1952 Buscetta torna a Palermo e rientra "inevitailmente nei ranghi di Cosa nostra. Ormai – osserva – è un fatto noto a tutti: non si esce da quella compagnia se non si viene espulsi o uccisi".

Si dedica al contrabbando, al gioco d'azzardo e, per investire i profitti del contrabbando in un'impresa lecita, decide di costituire assieme a uno dei fratelli una fabbrica di specchi a Termini Imerese. Verso il 1955 tenta anche una nuova avventura in Argentina, "con una squadretta di giovani uomini d'onore che viaggiavano clandestinamente," ma l'esperienza finisce miseramente,

Intorno ai primi del 1956, a Palermo, all'Hotel Sole, insieme ad altri uomini d'onore incontra Luky Luciano, "un uomo che ho molto rispettato". Buscetta racconta come, su richiesta di alcune famiglie di Cosa nostra degli Stati Uniti, che fin dai primi tempi dell'immigrazione accoglievano molti calabresi tra le loro file, Luciano si adoperò, con il nullaosta di alcuni dei capi più influenti dei Cosa nostra siciliana, "nell'operazione che portò alla costituzione di una serie di famiglie mafiose in Calabria", con importanti 'ndranghetisti che divennero uomini d'onore.

"La Calabria fu usata intensamente e proficuamente per le trafile del contrabbando di sigarette." Ma per quanto riguarda il mercato della droga Buscetta è categorico: "Devo dire, a onor del vero, che è possibile che in Sicilia qualche uomo d'onore trafficasse di nascosto la droga, ma la segretezza in questo caso era spontanea e non derivava da un divieto esplicito: Fino al 1957 non c'era una Commissione che potesse deliberare e anche dopo non fu mai presa una decisione in proposito.
Il divieto di trattare la droga di qualsiasi genere era invece in vigore nelle famiglie americane e veniva fatto rispettare con estrema severità. La pena per chi lo infrangeva era la morte."

Il suggerimento di creare "in Sicilia una Commissione analoga a quella degli Stati Uniti, dove era stata costituita venticinque anni prima in seguito a una guerra di mafia molto sanguinosa rivelandosi presto assai utile", venne da Joe Bonanno nel 1957, nel corso di una visita in Sicilia che aveva lo scopo di riallacciare i contatti interrotti nel 1950 tra cosa nostra americana e Cosa nostra siciliana. "Bonanno – precisa Buscetta – prospettò la nascita della commissione come uno strumento di moderazione e di pace interna. Soprattutto nel caso di sentenze contro uomini d'onore. Prima di uccidere un uomo di Cosa nostra si sarebbe potuto discutere tra più persone, ascoltare diverse campane e seguire un criterio di massima invece di passare subito all'esecuzione, come era invece accaduto in tanti casi".

Buscetta è arrestato per la prima volta nel 1958, con l'imputazione di associazione per delinquere e contrabbando di sigarette, e per la seconda volta nel marzo 1959. "Fui rilasciato alla fine del 1959, dopo sei mesi di detenzione preventiva. E tornai a Palermo. Ma la Palermo della seconda metà degli anni Cinquanta mi stava stretta. Mi sentivo soffocare. Viaggiavo in continuazione verso il Nord, Milano, la Costa Azzurra per fare la bella vita nei casinò, nei locali notturni, nei ristoranti di lusso sfruttando largamente il fascino del malavitoso […]. Guadagnavo molto bene con il gioco d'azzardo: a Saint Vincent, a Montecarlo, a Venezia, a Saneremo, a Campione. E perfino a Palermo dove gestivo, in società con altri uomini d'onore, una casa da gioco all'interno del Circolo della stampa.

Nell'ottobre del 1962 avviene il misterioso incidente aereo in cui perde la vita Enrico Mattei e nel 1970 scompare il giornalista dell'«Ora» di Palermo, Mauro De Mauro, che stava indagando sulla morte dello stesso Mattei. Solo dopo la tragica morte nell'estate del 1992 di Giovanni Falcone, Buscetta decide di rivelare che: "Fu Cosa nostra siciliana, in una seduta della sua prima Commissione, a decretare la morte di Enrico Mattei. Ciò mi consta personalmente perché avevo molti amici che sedevano nella Commissione e mi riferivano il contenuto delle discussioni. […] Mattei fu ucciso su richiesta di Cosa nostra americana perché con la sua politica aveva danneggiato importanti interessi americani in Medio Oriente. […] Ho rivelato uno dei segreti meglio conservati di Cosa nostra. Devo solo aggiundgere che anche il rapimento di Mauro de Mauro […] è stato effettuato da Cosa Nostra".

Buscetta che aveva iniziato a collaborare con la giustizia italiana nel luglio del 1984, dopo l'estradizione dal Brasile, aprendosi al magistrato Giuseppe Falcone, aveva rifiutato però di "deporre su qualsiasi cosa che riguardasse i rapporti tra Cosa nostra e i politici. […] Ho tenuto duro, anche per proteggerlo dai terribili effetti che lo avrebbero colpito se avessi detto quello che ho detto poi".

Dopo la tragica morte di Giovanni Falcone, il 23 maggio del 1992, seguita il 19 luglio da quella di Paolo Borsellino, Buscetta decide di vuotare il sacco. Con riferimento al periodo che va dalla fine degli anni cinquanta alla vigilia della prima guerra di mafia, parlando dei numerosi politici che ha conosciuto personalmente, rivela che "nella politica locale i nostri punti di riferimento erano Salvo Lima e Giovanni Gioia, segretario della DC. Ho conosciuto Lima e l'ho incontrato diverse volte. In municipio, quando era sindaco di Palermo, e anche a casa sua. […]
Salvo Lima era strettamente collegato con noi e a Palermo tutti lo sapevano. Era figlio di un uomo d'onore […]."
Lima, fanfaniano, passò alla corrente andreottiana nel 1968 dopo l'elezione alla Camera dei deputati. Fu ucciso il 12 marzo 1992 mentre si stava recando all'hotel Palace, per organizzare un convegno al quale doveva intervenire Giulio Andreotti.

È nota la capacità di Cosa nostra di aggiustare i processi a carico dei suoi adepti, grazie ad appoggi anche ai massimi livelli: "Vincenzo Rimi stava talmente a cuore a Cosa Nostra che la revisione del suo processo costituì una delle principali condizioni per l'appoggio al golpe Borghese del 1970. Ancora alla fine degli anni Settanta – rivela Buscetta –, Andreotti si incontrava con gli uomini d'onore per discutere la questione dei processi contro Vincenzo e Filippo Rimi".

"La guerra di mafia del 1962-63 – racconta Buscetta – fu un evento che vissi intesamente a causa dei miei raporti con i fratelli La Barbera e perché la sua origine principale è da ricercare in una delle regole che avevo stabilito assieme agli altri promotori della Commissione: il divieto di cumulare la carica di capofamiglia con quello di membro della Commissione stessa."
Il 30 giugno 1963, avviene la strage di Ciaculli, sette morti tra le forze dell'ordine per l'esplosione di una Giulietta imbottita di tritolo. "Il clamore fu immenso e la polizia fece subito dopo quello che non aveva mai fatto: riuscì a catturare quasi tutti i principali esponenti di Cosa nostra, ponendo fine a una guerra cruenta che aveva visto da un lato una Commissione ingenua e sprovveduta, e dall'altro un'agguerrita setta di prevaricatori […]."

Buscetta riesce a fuggire in Messico insieme alla nuova compagna Vera Girotti. "Avevo conosciuto Vera Girotti qualche tempo prima al casinò di Saint-Vincent ed era nata una storia dalla quale, proprio in Messico, seppi che stava per nascere un figlio." È ospitato nella casa dell'immigrato palermitano Giuseppe Catania, che campa con la vendita di tessuti falsi. Dopo la nascita, nel giugno del 1964, della figlia Alessandra, la prima delle due figlie avute da Vera Girotti, Buscetta e Catania si trasferiscono in Canada e poco dopo negli Stati Uniti. Qui, dopo un primo periodo di stenti, grazie a un prestito ricevuto dai Gambino, Buscetta riesce a raggiungere una certa agiatezza aprendo alcune pizzerie. "In questo periodo mi raggiunsero negli Stati Uniti, entrandovi illegalmente, mia moglie Melchiorra e i miei [quattro] figli palermitani: Tovai loro un apparatamento a Brooklyn e da quel momento, fino a quando mi trasferii in Brasile nel 1971, mi divisi tra due famiglie".

Sono molto interessanti le pagine che descrivono l'ambiente mafioso frequentato da Buscetta negli Stati Uniti, in particolare mi sembra degno di nota il seguente episodio. Un bel giorno Paolo Gambino, fratello del grande capo Carlo, entra nella pizzeria in cui Buscetta lavora e cortese e affettuoso lo invita a una cena fuori dove tanti fratelli lo vogliono conoscere e salutare. Temendo un tranello, Buscetta fa credere a Paolo di essere armato e quando durante il tragitto Paolo ferma la macchina per scendere e fare pipì gli impedisce di scendere e poi minaccia: «Va bene. Se sei diabetico, fai pure pipì. Ma dentro l'automobile. E riparti subito, perché se resti qui e e provi a scendere ti ammazzo». In realtà la festa è veramente amichevole e Carlo Gambino gli porge anche in omaggio una busta con dentro 10.000 dollari. Ma più ancora degna di nota mi sembra la spiegazione che dà Buscetta: "Chi a questo punto si domanda per quale ragione temessi quell'incontro – dato che i miei interlocutori avevano già dimostrato, ospitandomi e prestandomi denaro, di nutrire fiducia e considerazione nei miei confronti – non ha capito nulla di Cosa nostra. Della sua doppiezza della continua doppiezza e della tensione che circola al suo interno e che rende tutti insicuri. Incerti su tutto. Anche della propria vita. L'uomo che ti sta accanto ti può portare ad una festa come alla tua tomba. L'amico più caro può essere il tuo assassino".

Buscetta è poi costretto a fuggire dagli Stati Uniti e nel giugno 1971 si rifugia in Brasile, a Rio de Janeiro. A luglio, in spiaggia a Copacabana, conosce Cristina "una studentessa universitaria piena di brio, colta, intelligente e di ottima famiglia", dalla quale avrà due figli. Viene arrestato dalla polizia brasiliana nell'ottobre 1972. "Non dimenticherò mai la brutalità di quegli agenti di polizia. Ci presero tutti insime – racconta Buscetta –, Cristina, suo fratello, io e le mie due bambine, che furono infilate nel portabagagli di un'automobile e tenute lì dentro per più di dieci ore. […] Cristina fu torturata affinché rivelasse cosa stessi facendo di illegale in Brasile. Fummo fatti salire su un elicottero militare e Cristina venne tenuta sospesa per i capelli nel vuoto e minacciata di essere buttata giù se lei o io non avessime confessato.
Fui portato in una caserma dell'esercito dove fui lungamente seviziato perché rivelassi i miei rapporti con la mafia siciliana."

A un certo punto viene spedito in Italia dove immediatamente viene arrestato, è il 3 dicembre 1972, a causa di una condanna ricevuta al processo di Catanzaro per associazione a delinquere: 14 anni ridotti a 5 in appello e poi a tre grazie a una amnistia. Intanto Giuseppe Catania "da magliaro si era trasformato in trafficante, era stato arrestato negli Stati Uniti e in cambio dell'immunità aveva detto che ero a capo di un'organizzazione che aveva trafficato 326 chili di eroina!
L'effetto di questa sua denuncia mi raggiunse in Italia nel 1974. Il nuovo processo venne celebrato a Salerno […] . La Corte mi condannò a una pena addirittura superiore a quella richiesta dal pubblico ministero".

Il racconto di questi otto anni passati in carcere, sino al 13 febbraio 1980, è veramente istruttivo. Fino al 1977 rimane all'Ucciardone, dove assume presto un ruolo indispensabile per la convivenza tra carcerati e agenti di custodia, e il direttore conta su di lui per il mantenimento della pace interna. Gli uomini d'onore lo considerano il loro principale punto di riferimento.
"Fu proprio in quegli anni, da 1973 al 1977, che cominciai a notare i primi sintomi del mutamento che stava investendo Cosa Nostra. Gli uomini d'onore cominciano a mostrare segni di benessere e di ricchezza mai visti in precedenza. […] Il benessere derivava dal boom del contrabbando di sigarette, praticato ora massicciamente dagli uomini d'onore siciliani che si erano messi in società con alcuni esponenti della camorra napoletana. […]
La corruzione era un modo sbrigativo per acquisire privilegi e considerazione in prigione, […]
Notai anche che per i miei fratelli detenuti non esistessero più cose impossibili. Si sentivano sempre più padroni della situazione giudiziaria a Palermo e nel resto della Sicilia. Si vantavano di dominare le forze dell'ordine".

Un giorno Buscetta apprende che Pippo Calò, il nuovo capo di Porta nuova, lo aveva espulso mentre era assente dall'Italia a causa della sua vita sentimentale. La notizia gli pare spropositata e "tale sembrò anche agli altri uomini d'onore detenuti, i quali la ignorarono, seguitando a manifestarmi deferenza e stima". Però, racconta: "Piano piano si insinuò in me il dubbio che, in realtà, a Cosa nostra facesse comodo Tommaso Buscetta in carcere. […]
Nel 1976 ebbi la conferma definitiva che per una larga parte degli uomini d'onore il luogo più opportuno dove dovevo stare era la prigione. A Salerno venne celebrato il processo per traffico di droga originato dalle accuse di Giuseppe Catania. Non era difficile intervenire per «aggiustarlo» […] molti capimafia si facevano ormai i processi e le sentenze come pareva loro. Michele Zaza, è vero, si offrì di interessarsi al mio processo in quanto aveva la possibilità di avvicinare qualche giudice […]. Ma Pippo Calò lo scoraggiò, dicendogli di farsi gli affari suoi, perché si trattava di problemi che riguardavano la Sicilia e non i napoletani."

Buscetta assiste impotente in carcere all'avanzata dei Corleonesi. Capisce prima degli altri il loro diabolico modo di agire e il significato della sfida lanciata col sequestro dell'esattore Corleo, suocero dei cugini Salvo "asse portante dell'edificio di Cosa nostra in Sicilia e dei suoi contatti politici romani. […]
Era il 1975 e si era ancora in tempo a contrattaccare.
Ma si continuò a ignorare l'evidenza e a rimandare al giorno dopo un confronto che andava invece accettato e combattuto subito. Quando nel 1978 caddero […] Giuseppe Di Cristina e Pippo Calderone, la situazione era quasi del tutto compromessa. I degenerati erano già pronti a colpire sia lo Stato sia gli avversari interni e scatenarono una terribile offensiva che ebbe inizio nel luglio 1979 con l'uccisione di Boris Giuliano [capo della Squadra Mobile di Palermo] e si concluse con l'omicidio del generale Dalla Chieda e l'assassinio del giudice Chinnici".

Nel 1977 Buscetta per disposizioni del generale Carlo Aberto Dalla Chiesa viene trasferito dall'Ucciardone e passa per Cagliari, Nuoro, Asinara, Roma (Regina Coeli) fino ad approdare a ottobre nel supercarcere di Cuneo, dove sono detenuti numerosi terroristi. Riesce anche qui a stabilire un discreto rapporto con la direzione. Nutre per i terroristi "una profonda, incolmabile avversione. Come uomini erano piccoli piccoli". Durante il sequestro Moro viene richiesto, tramite la moglie Cristina e un figlio, probabilmente da una Commissione di Cosa Nostra non unanime, "di intervenire presso i brigatisti per salvare la vita di Moro". Ha poi un colloquio col malvivente milanese Ugo Bossi, socio del suo compagno di cella Francis Turatello, "il gangster noto a tutti per per la sua fama di capo della malavita milanese". Bossi che era entrato nel carcere sotto falso nome gli rivolge analoga richiesta. Non essendoci rinchiusi a Cuneo al momento brigtisti di rilievo, Buscetta risponde che dovrebbe essere trasferito al carcere di Torino, viene invece trasferito a Milano dove incontra nuovamente Bossi. "C'erano quattro, cinque o dieci persone che erano impegnate nel tentativo di far liberare Moro – mi disse – e lui era stato attivato da queste". Bossi gli porta anche alcuni atti di un procedimento nel quale era imputato insieme a Turatello, dove sono contenute le trascrizioni di diverse telefonate intercettate dagli inquirenti. "Durante una di queste conversazioni, un personaggio della DC, di nome Vitalone, diceva a Bossi: «Questi qui non vogliono liberare Moro»".

Buscetta racconta poi come fallì nel 1979 un primo progetto di uccidere il generale Dalla Chiesa da parte di Cosa nostra. Un emissario personale di Stefano Bontate gli chiede di verificare la disponibilità delle Brigate rosse a rivendicare l'omicidio del generale.
Il brigatista Lauro Azzolini, sondato durante l'ora d'aria gli risponde: «Noi non rivendichiamo azioni alle quali non partecipiamo direttamente. Potremmo farlo solo se qualcuno di noi fosse coinvolto nell'azione». Fu così che le Brigate rosse regalarono altri tre anni di vita a Dalla Chiesa, il quale era a conoscenza di segreti che, nel caso di indagini in più direzioni sulla sua morte non rivendicata, avrebbero potuto "danneggiare – secondo quanto mi fu riferito da Bontade e Badalamenti – una potente «entità» rimasta sconosciuta, sotto il profilo giudiziario, fino a quasi un anno dopo la strage di Capaci.
Quell'entità era l'onorevole Giulio Andreotti.
I tempi sono ormai maturi – spiega Buscetta – per pronunciare questo nome".
Nello stesso anno, il 1979, fu ucciso il giornalista Mino Pecorelli. L'omicidio Pecorelli fu fatto da Bontade e Badalamenti "su richiesta dei cugini Salvo, «richiesti» a loro volta – rivela Buscetta – dall'onorevole Andreotti." Pecorelli si era avvicinato troppo a segreti imbarazzanti sul caso Moro.

Nel 1980 Buscetta ottiene la semilibertà, è nel carcare torinese delle Nuove quando, a pochi mesi dal termine della pena, a seguito di ripetute minacce, decide di darsi alla latitanza. Si rifugia a Palermo per rivedere amici e parenti prima di tornare per sempre in Brasile. "Mi resi anche conto – racconta – che nella polizia e nella magistratura di Palermo non c'era nessuno che combatteva seriamente Cosa nostra. Chi ci aveva provato, d'altra parte, era stato eliminato […]". Il commissario Giuliano, il giudice Terranova, il presidente della Regione Piersanti Mattarella. "I miei amici mi sembravano caduti in un delirio di onnipotenza […] L'unica fonte di attrito interno e di preoccupazione consisteva nel fatto che parecchi di questi assassinii venivano eseguiti dai Corleonesi senza preavviso e senza l'autorizzazione della Commissione. Bontade e Inzerillo avevano protestato più volte in Commissione […]". Un bel momento, per dimostrare che anche lui, come Liggio e Riina, può permettersi di scavalcare la Commissione e infrangere le sue regole, Salvatore Inzerillo fa massacrare il procuratore della Reppubblica Gaetano Costa senza informare nessuno.

Dall'inizio della latitanza Buscetta si trova oggetto di particolari attenzioni e affetto da parte di tanti uomini d'onore e presto ne capisce il motivo. Un pomeriggio Nino Salvo, lo accompagna a un appuntamento con Salvo Lima all'Hotel Flora, in via Veneto, e poi gli spiega Il senso preciso del messaggio di Lima. "Il vero problema non era Ciancimino, erano i Corleonesi, […] «Bisogna fermare quei "viddani" […], altrimenti moriremo tutti. […] Masino, devi accettare di entrare in Commissione al posto di Calò […]»". Calò già gli aveva promesso di cedergli il posto di rappresentante nella Commissione, ma da ulteriori conversazioni con lo stesso capisce che il personaggio è poco affidabile. A Stefano Bontade che gli confida il progetto di uccidere Riina in una delle prossime riunioni della Commissione profetizza: «Riina è come un cane: annusa i discorsi e capisce che nell'aria c'è qualcosa contro di lui. Qui invece parlate, parlate. Mentre sono i Corleonesi che agiscono e ci abbattono a uno a uno come birilli. Caro amico ho l'impressione che tu sia già un uomo morto.» Ai primi di gennaio 1981 Buscetta parte per il Brasile, durante la cena d'addio nella villa di Stefano Bontade riceve in regalo 500.000 dollari.

"E gli avvenimenti che cominciarono a susseguirsi in Sicilia pochi mesi dopo la mia partenza sembravano confermarmi – afferma Buscetta – che avevo fatto la scelta giusta.
Totò Riina riuscì a precedere il piano di attacco dei miei amici. Stefano Bontade fu ucciso il 23 aprile 1981, Salvatore Inzerillo poche settimane dopo, e nei mesi successivi ebbe luogo lo sterminio sistematico e implacabile di tutti gli altri."

Ma il cerchio di morte dei Corleonesi comincia a chiudersi anche attorno a Buscetta, nell'autunno del 1981 il fratello della prima moglie viene ucciso a Torino. Nell'agosto del 1982 Gaetano Badalamenti viene a trovarlo in Brasile e gli chiede di tornare in Sicilia "a giocare il tutto per tutto". Durante il suo soggiorno scompare il fratello di Cristina, moglie di Buscetta. "La sua scomparsa poteva solo essere causata dai miei nemici siciliani. Sentivo il cerchio che si stringeva intorno a me."
L'11 settembre telefona a Palermo al figlio Antonio e apprende dalla nuora in lacrime che è scomparso da due giorni assieme al fratello di lei Benedetto. "Il colpo di maglio fu tale che da allora non sono più stato in grado di ridere, di essere allegro. […] «Contrattacchiamo, Masino. Ribelliamoci. Costi quello che costi» mi incitò ancora una volta [Badalamenti] […].
«È inutile – risponde Buscetta –. I miei figli ormai sono morti. Se non reagisco i Corleonesi interpreteranno la mia inerzia come una resa e smetteranno di tormentarmi: Ho altri due figli che possono essere colpiti. Mi vendicherò. Ma mi vendicherò ragionando. E la ragione mi dice che questo non è il momento di combattere i corleonesi. Se voglio vendicarmi bene, non devo farlo adesso.»"

E invece le uccisioni di persone vicine a lui continuano, saranno presto nove. Nell'ottobre del 1983 Buscetta è arrestato insieme a Cristina, che verrà scarcerata un mese dopo. Il 7 luglio 1984 viena a sapere che sarà estradato in Italia. Quando sta per iniziare il trasferimento si avvelena con della stricnina un veleno per topi che usava nella sua fazenda di Belém. L'affetto e la dedizione di Cristina "mi avevano mostrato con chiarezza che la mia scelta era l'unica via di scampo per lei e per i nostri figli". Viene salvato al pronto soccorso con l'iniezione di un altro veleno, il curaro. "Arrivato a Roma fui ricoverato in un ospedale della polizia dove fui curato e assistito con molta premura". Viene poi ospitato nei locali della Questura di Roma, dove De Gennaro e Falcone gli fanno adattare un piccolo appartamento. Fino a dicembre Falcone raccoglie la deposizione di Buscetta scrivendo a mano i verbali. Intanto, malgrado tutte le precauzioni, la notizia della collaborazione è trapelata e Buscetta ottiene di essere trasferito negli Stati Uniti, dove potrà usufruire del programma di protezione dei collaboratori di giustizia in relazione al processo noto come «Pizza Connection».

Il 10 febbraio 1986 si apre a Palermo il maxiprocesso e Buscetta rientra in Italia per deporre. "Mai prima di allora lo Stato aveva osato sfidare Cosa nostra a quel modo: 475 imputati di associazione mafiosa. L'intero stato maggiore della mafia degli anni Ottanta – da Liggio a Michele Greco, a Totò Riina, a Calò, ai Madonìa, ai Salvo – era sotto accusa. […]
Il maxiprocesso si concluse l'anno seguente, nel dicembre 1987, con una serie di condanne pesantissime: 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. Condanne poi confermate lungo i gradi successivi del giudizio. fu il trionfo del lavoro del pool antimafia e di Giovanni Falcone. E fu la fine del mito dell'invincibilità di Cosa nostra."

Nel settembre 1992, Buscetta incontra a Washington due giudici venuti da Palermo per raccogliere sue deposizioni sul delitto Lima. "Dichiarai che avevo deciso di sciogliere la mia riserva a parlare dei rapporti tra Cosa Nostra e la politica, e che quello era il mio modo di onorare la memoria di Giovanni Falcone".

Buscetta muore di cancro a New York il 2 aprile 2000 all'ertà di 71 anni e viene sepolto sotto falso nome a North Miami (Florida).

Questa breve sintesi del libro di Arlacchi, che fa raccontare a Buscetta le straordinarie e tristi vicende della sua vita, l'ambiente mafioso siciliano in cui è vissuto e i suoi intrecci con la politica, con scorci sulla mafia negli Stati Uniti di rara potenza descrittiva, è servita a me per fissare meglio e meglio comprendere le complicate vicende narrate, e spero servirà a indurre alla lettura di Addio Cosa nostra, documento imprescindibie, di rara forza illuminante.

Giovanni Paparo

L'autore

Pino Arlacchi è un sociologo e politico ed è considerato una delle massime autorità mondiali in tema di sicurezza umana. Tra il 2006 e il 2008 ha fatto parte del comitato internazionale costituito dalla Repubblica popolare cinese sul tema della sicurezza dei Giochi olimpici del 2008. È presidente dell’Associazione mondiale per lo studio della criminalità organizzata e ha redatto il progetto esecutivo della Dia, la Direzione investigativa antimafia.
Amico e collaboratore dei giudici Chinnici, Falcone e Borsellino, è stato presidente onorario della Fondazione Falcone e tra i maggiori architetti della strategia antimafia italiana negli anni Novanta del XX secolo.
Deputato e senatore del Partito democratico e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia, si è dimesso dal Senato nel 1997 per ricoprire fino al 2002 l’incarico di vicesegretario generale delle Nazioni unite. Direttore esecutivo dell’Unodc (United Nations Office on Drugs and Crime), è stato anche direttore generale dell’ufficio delle Nazioni unite di Vienna.
Deputato al Parlamento europeo con l’Italia dei Valori, ha poi aderito al Partito democratico e al gruppo dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici europei.
È presidente del Forum globale dei criminologi e degli studiosi di diritto penale, associazioine dei maggiori esperti di sicurezza umana con sede a Pechino.
È stato sotto scorta per tredici anni, a causa delle minacce e intimidazioni causate dal suo impegno contro la criminalità.
Tra i suoi libri ricordiamo Gli uomini del disonore (1992/2010), La mafia imprenditrice. Dalla Calabria al centro dell’inferno (2007), L’inganno e la paura. Il mito del caos globale (2009/2011). Per Chiarelettere ha pubblicato I padroni della finanza mondiale (2018).

Pino Arlacchi
Addio Cosa Nostra
La vita di Tommaso Buscetta

Chiarelettere editore, Milano. Prima edizione: maggio 2019
Collana: Reverse
Pagine: VI-282, Brossura con alette
Prezzo di copertina: € 16,00
ISBN/EAN: 9788832961393


14/08/2019 - 10.30.59

fonte: Giovanni Paparo gpaparo@expofairs.com


ricerca notizie:

fonte:

range temporale:

ordina per:

data, ora discendente

data, ora ascendente


Interfiere

FairAdvisor

I vostri hotel per le fiere di Rimini


© 2024 copyright Pianeta di Giovanni Paparo - Torino. Tutti i diritti sono riservati. La registrazione, riproduzione, copia, distribuzione o comunicazione pubblica non autorizzate costituiscono violazione del copyright. I trasgressori saranno perseguiti a norma di legge e soggetti al pagamento dei danni.