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Steven Levitsky, Daniel Ziblatt
Come muoiono le democrazie
GLF Editori Laterza


Pianeta Libri news. Torino, 26 luglio 2019 – Ormai è raro che il potere venga conquistato attraverso un golpe militare o comunque con la forza. Quasi tutti i paesi tengono regolarmente elezioni. Le democrazie muoiono ancora, ma con altri mezzi.

Dalla fine della Guerra Fredda a oggi, a determinare la morte di una democrazia non sono quasi mai generali e soldati, ma gli stessi governi eletti. Leader eletti hanno sovvertito le istituzioni democratiche in Venezuela, Georgia, Filippine, Nicaragua, Perù, Polonia, Russia, Sri Lanka, Turchia, Ucraina e Ungheria. Oggi il tracollo di una democrazia comincia nelle urne.

Steven Levitsky e Daniel Ziblatt attraversano la storia recente per identificare i passaggi cruciali e le condizioni che si ripropongono, seppure in diverse declinazioni, ogni volta che una democrazia viene gradualmente trasformata in regime autoritario da un leader eletto. Un processo messo in atto dall’interno delle istituzioni e con mezzi legali.

Attingendo a due decenni di ricerche e a un’ampia gamma di esempi storici e internazionali – dall’Europa di Mussolini e Hitler sino al Venezuela di Chavez, all’Ungheria di Orban, sino alla Turchia di Erdogan e agli Stati Uniti di Trump – Steven Levitsky e Daniel Ziblatt raccontano come sono morte le democrazie nella storia recente, come potrebbero morire nel futuro prossimo e come sia possibile salvarle.

"Scrivere questo libro ci ha fatto ricordare che la democrazia americana non è un’eccezione, come a volte ci capita di pensare. Non c’è nulla, nella nostra Costituzione, che ci immunizzi dalla possibilità di un tracollo della democrazia. Abbiamo già sperimentato in passato una catastrofe politica, quando le inimicizie tra aree del paese e fazioni politiche divisero la nazione al punto da farla precipitare in una guerra civile. Il nostro sistema costituzionale riuscì a riprendersi e i leader, repubblicani e democratici, svilupparono nuove norme e nuove pratiche, grazie alle quali abbiamo potuto godere di una stabilità politica che si è protratta per oltre un secolo. Ma quella stabilità era stata ottenuta al prezzo dell’esclusione razziale e dell’installazione di un regime autoritario a partito unico negli Stati del Sud. Una piena democratizzazione è arrivata solo dopo il 1965. E quella stessa democratizzazione, paradossalmente, ha messo in moto un riallineamento di fondo dell’elettorato americano, tornando a creare una situazione di profonda polarizzazione fra i nostri partiti. Questa polarizzazione, mai così radicale dai tempi della Ricostruzione, ha innescato l’epidemia di violazioni delle norme che ormai sta mettendo a rischio la nostra democrazia.

C’è una percezione crescente di un arretramento della democrazia in tutto il mondo: Venezuela, Thailandia, Turchia, Ungheria, Polonia. Larry Diamond, forse la massima autorità mondiale in materia di democrazia, ritiene che siamo entrati in una fase di recessione democratica. Oggi le condizioni internazionali sono chiaramente meno favorevoli alla democrazia rispetto agli anni dopo la fine della Guerra Fredda. Negli anni Novanta le democrazie liberali occidentali non avevano rivali quanto a potere militare, economico e ideologico, e la democrazia all’occidentale era generalmente vista come «l’unica scelta sulla piazza». A vent’anni di distanza, tuttavia, l’equilibrio del potere a livello mondiale è mutato. L’influenza mondiale dell’Unione Europea e degli Stati Uniti è diminuita, mentre la Cina e la Russia sembrano in costante ascesa. E con l’affermazione di nuovi modelli autoritari in Russia, Turchia, Venezuela e altri paesi, la democrazia non appare più inattaccabile come un tempo. Le crisi in cui si dibatte l’America sono parte di un’inarrestabile deriva mondiale della democrazia?

Noi non ne siamo convinti. Prima dell’elezione di Donald Trump, le tesi su una recessione democratica mondiale erano esagerate. È vero che le condizioni internazionali sono diventate più sfavorevoli, all’inizio del XXI secolo, ma di fronte a queste sfide le democrazie esistenti hanno dimostrato una straordinaria solidità. Il numero di democrazie nel mondo non è diminuito: ha toccato il picco nel 2005 e poi è rimasto stabile. I paesi dove la democrazia crolla fanno notizia e catturano la nostra attenzione, ma per ogni Ungheria, Turchia e Venezuela, c’è una Colombia, uno Sri Lanka o una Tunisia, paesi che sono diventati più democratici nell’ultimo decennio. E, cosa importante, la stragrande maggioranza delle democrazie mondiali – dall’Argentina, il Brasile, il Cile e il Perù alla Grecia, la Spagna e la Cechia, dalla Romania e dal Ghana all’India, la Corea del Sud, il Sudafrica e Taiwan – non ha registrato nessun arretramento nel 2017.

Le democrazie occidentali negli ultimi anni sono state scosse da crisi di fiducia interne. Con la debolezza dell’economia, l’aumento dello scetticismo nei confronti dell’Unione Europea e l’ascesa di partiti politici anti-immigrazione, ci sono molte ragioni per essere preoccupati, in Europa occidentale. Il recente successo elettorale della destra radicale in Francia, Olanda, Germania e Austria, per esempio, suscita timori per la stabilità delle democrazie europee. In Gran Bretagna, il dibattito sulla Brexit ha profondamente polarizzato la scena politica. Nel novembre del 2016, in seguito alla decisione di un tribunale che imponeva l’approvazione del Parlamento per poter procedere con l’abbandono dell’Unione Europea, il «Daily Mail» ha riecheggiato aggressivamente la retorica trumpiana etichettando i giudici come «nemici del popolo». E il fatto che il governo conservatore abbia invocato la cosiddetta «clausola Enrico VIII», che potrebbe consentire di procedere con la Brexit senza l’approvazione del Parlamento, ha preoccupato i critici, inclusa una parte dei parlamentari tories. Fino a questo momento, tuttavia, le norme basilari della democrazia in Europa occidentale non sono state intaccate o quasi.

Ma l’ascesa di Trump, già in sé, può rappresentare un problema per la democrazia mondiale. Tra la caduta del Muro di Berlino e la presidenza Obama, le varie amministrazioni americane hanno mantenuto in generale una politica estera favorevole alla democrazia. Le eccezioni non sono mancate: laddove erano in gioco gli interessi strategici dell’America, come in Cina, in Russia e in Medio Oriente, la democrazia è sparita dall’agenda. Ma in gran parte dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa orientale e dell’America Latina, le amministrazioni statunitensi hanno usato la pressione diplomatica, l’assistenza economica e altri strumenti di politica estera per combattere l’autoritarismo e favorire la democratizzazione durante l’era post-Guerra Fredda. Il periodo 1990-2015 molto probabilmente è stato il quarto di secolo più democratico nella storia del pianeta, e una delle ragioni è che le potenze occidentali, in linea di massima, hanno sostenuto la democrazia. Tutto questo ora potrebbe cambiare. Sotto Donald Trump, gli Stati Uniti sembrano voler abbandonare il loro ruolo di promotori della democrazia, per la prima volta dalla fine della Guerra Fredda. Il presidente Trump è il leader meno filodemocratico di qualsiasi amministrazione statunitense dai tempi di Nixon. Inoltre, l’America non è più un modello di democrazia: un paese dove il presidente attacca la stampa, minaccia di incarcerare la sua rivale e dichiara che potrebbe non accettare i risultati delle elezioni non può interpretare in modo credibile il ruolo di paladino della democrazia. Gli autocrati al potere e quelli che aspirano a diventarlo probabilmente si sentono incoraggiati dalla presenza di Trump alla Casa Bianca. Perciò, anche se l’idea di una recessione democratica mondiale era in gran parte un mito, prima del 2016, la presidenza Trump – insieme alla crisi dell’Unione Europea, all’ascesa della Cina e alla crescente aggressività della Russia – potrebbe contribuire a renderla realtà."

Indice

Gli'autori

Steven Levitsky è professore di Scienze politiche ad Harvard. La sua ricerca si concentra su partiti politici, democrazia e autoritarismo, istituzioni nell’America Latina e nei paesi in via di sviluppo. Ha pubblicato, tra l’altro, Informal Institutions and Democracy (a cura di, con G. Helmke, 2006) e Competitive Authoritarianism (con L.A. Way, 2010).

Daniel Ziblatt è professore di Scienze politiche ad Harvard, considerato tra i massimi esperti di autoritarismo e democrazia in Europa dal XIX secolo a oggi. Ha pubblicato, tra l’altro, Structuring the State: The Formation of Italy and Germany and the Puzzle of Federalism (2006) e Conservative Parties and the Birth of Democracy (2017).

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt
Come muoiono le democrazie
Introduzione di Sergio Fabbrini
Traduzione di Fabio Galimberti
GLF Editori Laterza, Bari, aprile 2019
Collana: i Robinson / Letture
Argomenti: Attualità politica ed economica, Scienza politica e sistemi politici contemporanei, Saggistica politica
Pagine 328. 20,00 euro
ISBN: 9788858135280

- disponibile anche in ebook


26/07/2019 - 10.18.54

fonte: GLF Editori Laterza


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