Una lunga storia di disprezzo verso i poveri
Aporofobia
Perché rifiutiamo i poveri invece di aiutarli
Adela Cortina
Tradotto da Adrian Nathan West
Princeton University Press
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| Pianeta Libri news. Torino, 27 maggio 2025 – Il rifiuto dei poveri — la tendenza non solo a ignorarli, ma anche a biasimarli — è un fenomeno che attraversa epoche e culture, ben oltre i confini di una singola nazione. La letteratura e l’analisi sociale hanno denunciato con forza questo atteggiamento profondamente radicato.
Negli Stati Uniti, questo pregiudizio assume anche una connotazione religiosa e culturale molto influente: il successo e la ricchezza vengono spesso interpretati come segni dell’approvazione divina, mentre la povertà e la miseria vengono viste come la mancanza della grazia di Dio. Questa visione influenza il comportamento quotidiano, facendo sì che i poveri, i diseredati che vivono per strada, invece di ricevere aiuto, siano spesso disprezzati e maltrattati.
Nel Regno Unito, già nell’Ottocento, Charles Dickens in Oliver Twist raccontava la brutalità di un sistema sociale che, sotto una maschera morale, trattava i poveri come colpevoli della propria condizione. All’inizio del Novecento, nel 1903, Jack London descriveva in The People of the Abyss la deumanizzazione dei senzatetto nell’East End londinese, costretti a vagare per tutta la notte perché la polizia non permetteva loro nemmeno di sedersi o sdraiarsi nei luoghi pubblici.
Negli Stati Uniti, lo stesso pregiudizio si manifesta in forme ancora più sistemiche. Opere come The Jungle di Upton Sinclair e Elmer Gantry di Sinclair Lewis hanno denunciato la perversa connessione tra successo economico, approvazione divina e marginalizzazione dei poveri. Ancora oggi, in molte città americane, la povertà è trattata più come un problema di ordine pubblico che come una questione sociale, alimentando una cultura in cui la miseria viene considerata un fallimento personale.
Anche il cinema ha rappresentato questa realtà. Film come The Pursuit of Happyness (2006), pur celebrando la resilienza personale, mostrano quanto la vita possa essere disumana per chi è senza casa. Analogamente, I, Daniel Blake (2016) di Ken Loach denuncia le assurdità burocratiche e l’umiliazione subite da chi cerca l’aiuto dello Stato.
Un filo rosso che collega letteratura, cinema e analisi sociale trova una sintesi chiara e innovativa nel lavoro della filosofa spagnola Adela Cortina, Aporofobia. Perché respingiamo i poveri invece di aiutarli, pubblicato per la prima volta in Spagna nel 2017 (Editorial Planeta, Barcellona) e poi rilanciato a livello internazionale da Princeton University Press.
Il contributo originale di Adela Cortina
L’opera di Cortina introduce un termine nuovo e necessario: aporofobia, la paura o avversione verso i poveri. Il concetto, da lei stesso coniato, permette di distinguere con chiarezza il rifiuto verso chi è privo di risorse da altre forme di discriminazione più note, come il razzismo o la xenofobia. La differenza è cruciale: la società spesso tollera o addirittura ammira immigrati ricchi o di successo, mentre respinge i poveri — anche se sono cittadini.
Il libro si distingue per la struttura accessibile e rigorosa, che combina filosofia morale, psicologia sociale, diritto e — come novità importante — neuroscienze per capire non solo cosa ci porta a rifiutare i poveri, ma perché lo facciamo.
Tra i contributi più significativi del libro:
• Definizione chiara del fenomeno: l’aporofobia non è solo disagio, ma una struttura mentale profonda con conseguenze concrete nelle politiche pubbliche e nei comportamenti quotidiani.
• Analisi morale: Cortina smonta le giustificazioni ideologiche del rifiuto dei poveri, mostrando come termini come “meritocrazia” o “ordine pubblico” mascherino spesso giudizi morali infondati.
• Approfondimento neuroscientifico: il libro si basa su ricerche contemporanee che mostrano come il cervello umano tenda a disumanizzare chi percepisce come “altro”, soprattutto quando privo di potere o risorse. Tuttavia, questo meccanismo non è inevitabile e può essere contrastato attraverso educazione, empatia e consapevolezza.
• Proposte educative e politiche: Cortina va oltre la diagnosi per offrire soluzioni concrete. Queste includono un’educazione che favorisca il riconoscimento di ogni persona a prescindere dallo status economico e politiche inclusive fondate sulla giustizia e non sulla carità.
Perché questo libro è importante
Aporofobia non è solo un saggio filosofico, ma un appello all’azione. In un’epoca di crescente disuguaglianza economica, la proposta di Cortina offre strumenti concettuali e morali per ripensare il nostro rapporto con la povertà e i marginalizzati. Il contributo delle neuroscienze aggiunge valore ulteriore, dimostrando che combattere l’aporofobia non è solo un dovere etico ma una sfida educativa che tocca il cuore di ciò che significa essere umani.
Comprendere e combattere l’aporofobia significa infatti porre le basi per una società più giusta e solidale — una società in cui il valore di una persona non è misurato dal reddito, ma dalla sua dignità intrinseca.
Questo rende il libro particolarmente utile per il progetto Scuola e Società, che ci vede coinvolti e che ha come obiettivo la promozione della solidarietà tra gli esseri umani attraverso l’informazione e attraverso le opere. Cortina offre una base teorica e pratica per costruire una pedagogia della consapevolezza, capace di riconoscere e decostruire gli automatismi culturali che conducono al disprezzo dei marginalizzati. Una pedagogia, quindi, che educa al riconoscimento dell’altro, alla tolleranza, alla giustizia e alla pace.
Per integrare la lettura, consigliamo il TED Talk di Bryan Stevenson, We need to talk about an injustice (2012), disponibile qui, in cui l’avvocato e attivista americano esplora le radici della disuguaglianza e del pregiudizio negli Stati Uniti, con una forza narrativa ed etica molto vicina ai temi di Cortina.
Un’altra risorsa utile, soprattutto dal punto di vista educativo, è la miniserie Exterminate All the Brutes (2021) di Raoul Peck, che, pur concentrandosi sul colonialismo, affronta anche le ideologie che legittimano la dominazione e la marginalizzazione, riflettendo su come oggi la povertà venga stigmatizzata.
In conclusione, Aporofobia è un libro da leggere, studiare e condividere — un libro che ci aiuta a vedere ciò che spesso scegliamo di ignorare, e a cambiare ciò che per troppo tempo abbiamo accettato come inevitabile.
Di Giovanni Paparo
Aporophobia
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